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La vitamina K appartiene alla categoria dei composti liposolubili che a livello metabolico controllano la funzione di alcune proteine implicate nel trasporto del calcio a livello del tessuto osseo, oltre che nella coagulazione del sangue.
Principalmente questo elemento è infatti dotato di un’attività anti-emorragica di fondamentale importanza tutte le volte in cui sono presenti ferite o lesioni.
Senza questa vitamina, la coagulazione ematica risulta gravemente compromessa e può provocare un sanguinamento incontrollato responsabile di fenomeni emorragici.
Dal punto di vista biochimico, essa è costituita due vitameri, che sono K1 e K2, la cui formula contiene catene carboniose di differenti lunghezze e collegate con legami singoli e doppi.
La vitamina K1, conosciuta anche come fillochinone, viene prodotta dai vegetali e si trova prevalentemente negli ortaggi a foglia verde poiché deriva dalla fotosintesi clorofilliana.
Mentre la K1 è una vitamina vegetale, la K2, il cui nome scientifico è menachinone, è una forma tipica dell’organismo animale e può essere sintetizzata dal microbiota intestinale.
La flora batterica simbionte è quindi indispensabile non soltanto per produrre vitamina K, ma anche per allungare le catene laterali che la costituiscono, modificando la struttura del menachinone a seconda della presenza o assenza di ossigeno.
Questa vitamina, che può essere ricavata anche artificialmente per via sintetica, consente di formulare interessanti integratori alimentari.
Attraverso un regime dietetico bilanciato, di solito non si verificano stati carenziali di vitamina K, i cui deficit sono più frequenti nella terza età in quanto si collegano all’insorgenza di osteoporosi e di calcificazione delle arterie.
Molto spesso la vitamina K viene iniettata nei neonati per prevenire forme di sanguinamento post-partum. Infatti i loro fattori di coagulazione ematica sono del 30-60% inferiori rispetto a quelli degli adulti, poiché il microbiota intestinale non è ancora funzionante.
I bambini prematuri hanno un rischio molto maggiore di sanguinamento poiché il loro livello di vitamina K è inferiore rispetto a quelli nati a termine della gestazione.
Il sanguinamento dei bambini dopo la nascita causato da carenza di vitamina K può provocare danni al cervello, emorragie e morte, pertanto deve essere curata tempestivamente con iniezioni intramuscolari accompagnate da somministrazione orale.
Questo problema è stato a lungo sottostimato e ha portato al decesso di neonati soprattutto prematuri in cui i problemi di coagulazione sanguigna non erano stati adeguatamente valutati.
In natura il fillochinone è un composto presente nelle piante verdi dove funziona da accettore di elettroni durante il processo di fotosintesi, per questo motivo la vitamina K1 è presente abbondantemente nelle parti fotosintetiche dei vegetali ma non in radici, frutti e rami.
Negli animali invece la vitamina K è collegata alla carbossilazione di alcune proteine che porta alla produzione di carbossiglutammati.
L’assorbimento del composto (sia vegetale che animale) avviene nell’intestino tenue a livello di ileo e digiuno, dove si formano micelle in presenza di succo pancreatico e succo biliare.
Successivamente il processo si completa nel colon secondo modalità di diffusione passiva, che comprende anche la percentuale di vitamina prodotta dal microbiota.
Dopo l’assorbimento e dopo la produzione di chilomicroni, la vitamina K viene trasportata al fegato e da qui ai vari tessuti mediante l’intervento di lipoproteine.
Il suo turnover è particolarmente rapido e il catabolismo comporta una rapida escrezione con le urine sotto forma di fosfati e solfati.
Per svolgere le sue funzioni fisiologiche, la vitamina K deve essere trasformata nella forma biologicamente attiva di idrochinone, mediante gli enzimi reduttasi che agiscono selettivamente sui gruppi sulfidrilici.
La funzione principale di questo composto è collegata alla coagulazione del sangue, un processo che si verifica sotto forma di reazioni a catena in cui i vari fattori agiscono seguendo un preciso ordine in quanto ciascuno attiva quello successivo.
Alla fine di questo ciclo il fibrinogeno si trasforma in fibrina, responsabile della genesi dei coaguli.
La presenza di vitamina K è indispensabile per un corretto svolgimento di tutte le reazioni coinvolte nel blocco del sanguinamento, anche grazie all’azione sinergica con la proteina C, che viene attivata dalla protrombina in presenza di trombomodulina.
La vitamina K è benefica anche per la salute delle ossa delle donne in menopausa poiché evita l’insorgenza di osteoporosi impedendo la decalcificazione del tessuto osseo: in presenza di stati carenziali aumenta il fattore di rischio per lo sviluppo di questo disturbo.
Un’adeguata assunzione di vitamina K contribuisce a evitare la calcificazione delle pareti arteriose, anche se non ci sono dati clinici certi a riguardo; tuttavia si ritiene che l’impiego di integratori a base di vitamina K sia benefico nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari di tipo arterioso.
L’osteocalcina, una proteina sintetizzata dagli osteoblasti che regola l’incorporazione del calcio nel tessuto osseo, viene stimolata dalla vitamina K.
Secondo i più recenti dati scientifici, non ancora confermati da trial clinici, esisterebbe una relazione tra carenza di vitamina K e frequenza di fratture ossee e insorgenza di disturbi artrosici e artritici.
La vitamina K dunque svolge due funzioni fondamentali, la prima collegata al processo di coagulazione del sangue e la seconda all’attività delle proteine, che presiedono il trofismo del tessuto osseo.
La vitamina K è abbondantemente presente negli alimenti di origine vegetale, soprattutto a foglia verde, come spinaci, bietola, broccoli, lattuga, cavolini di Bruxelles, cime di rapa e cicoria.
Lo stretto legame che essa stabilisce con i cloroplasti la rende scarsamente biodisponibile, soprattutto dopo la cottura, ecco perché sarebbe preferibile consumare vegetali crudi che consentono un assorbimento ottimale soprattutto in presenza di grassi (olio extravergine di oliva), che consentono di aumentarne l’assorbimento dal 5% al 13%.
Frutti, tuberi, cereali e legumi contengono dosaggi contenuti di vitamina K, che tende a concentrarsi nelle strutture embrionali (germogli e gemme); tra i frutti, quelli più ricchi di questa vitamina sono kiwi, avocado e uva.
Gli oli vegetali non contengono vitamina K se non in minime concentrazioni, per cui è preferibile utilizzare l’olio evo.
Tra gli alimenti di origine animale, quelli più ricchi di vitamina K sono il fegato e il tuorlo d’uovo, seguiti dai derivati del latte fermentato, mentre carne e pesce non sono considerati valide fonti alimentari.
Secondo i LARN, la quantità raccomandata di vitamina K da assumere quotidianamente è pari a un microgrammo per kg di peso corporeo, un valore facilmente raggiungibile seguendo una dieta calibrata e varia.
In gravidanza e allattamento il valore raccomandato è di 90 microgrammi al giorno, nei bambini fino a un anno è di 2,5 microgrammi al giorno, mentre nella prima infanzia (tra 1 e 18 anni) il dosaggio dovrebbe essere compreso tra 30 e 75 microgrammi.
In età adulta sarebbe consigliabile non superare 70 microgrammi al giorno per evitare fenomeni di sovradosaggio.
Questa vitamina è indicata dalla lettera “k” in riferimento alla parola “koagulation” che significa “coagulazione” in tedesco in quanto fu scoperta del 1935 dallo scienziato Heinrich Peter Dam, esperto nell’osservazione delle malattie emorragiche in animali nutriti con cereali e lieviti.
In seguito a ulteriori ricerche in questo settore, venne identificato un elemento (indicato come “vitamina K”) indispensabile per il corretto funzionamento dei fattori della coagulazione, soprattutto il VII, il IX e il X.
Oltre all’attività anti-emorragica, questo composto si è rivelato essenziale per il metabolismo di alcune proteine trasportatrici, di enzimi e nel processo di fissazione del calcio al tessuto osseo.
Seguendo un regime alimentare bilanciato, di solito non si verificano carenze di vitamina K in quanto il suo fabbisogno giornaliero è piuttosto limitato; tuttavia in alcune condizioni diventa necessario ricorrere a una supplementazione mediante l’impiego di integratori.
Trattandosi di un composto liposolubile, questa vitamina deve essere introdotta insieme a sostanze lipofile, che costituiscono i suoi eccipienti.
Condizioni favorenti alla presenza di stati carenziali vitaminici sono tipiche di persone affette da disturbi epatici, al pancreas oppure alla colecisti, dato che l’assorbimento di questa vitamina presuppone una funzionalità fisiologica degli organi digestivi.
Dopo essere stata assorbita, la vitamina k (che è una molecola insolubile in acqua) non può circolare nel sangue, ma deve essere veicolata da trasportatori specializzati che permettono la formazione di chilomicroni.
Utilizzando integratori, un simile processo non è previsto in quanto la forma biologicamente attiva dell’elemento è già strutturata in modo tale da poter raggiungere i vari organi-bersaglio.
In particolare il fegato, che è la sede di deposito della vitamina, mette a disposizione lipoproteine carrier, in grado di distribuirla a tutto l’organismo.
Grazie a una innovativa formulazione a rilascio graduato, gli integratori di ultima generazione consentono alla vitamina K di bypassare i processi digestivi per essere rapidamente assimilata e quindi disponibile.
Di conseguenza già dopo le prime assunzioni, la concentrazione di questa molecola riesce a raggiungere i valori fisiologici collegati alle diverse esigenze (legate a età, stato di salute e sesso).
Nel sangue essa si trova legata a lipoproteine che la indirizzano verso:
Nelle donne gravide, concentrazioni significative di questo composto si trovano anche a livello placentare, soprattutto sotto forma di fillochinone.
Per evitare che il feto assorba quantitativi essenziali per il benessere materno è quasi sempre necessario ricorrere a un’integrazione.
La quota vitaminica presente nel latte materno è generalmente piuttosto bassa, per cui è opportuno che la gestante incominci ad assumere integratori a partire dal III trimestre di gravidanza per prepararsi alla successiva fase di allattamento.
Inoltre, integrando i valori di vitamina K nel sangue materno si evita il rischio che il nascituro possa soffrire di stati carenziali, una condizione molto rischiosa anche per la sua sopravvivenza.
Una persona in buona salute, la cui flora intestinale simbionte sia ben funzionante, e priva di deficit metabolici, di norma non sviluppa nessuna carenza vitaminica.
Condizioni predisponenti a stati carenziali dipendono soprattutto dall’assunzione di farmaci (come gli antibiotici) che modificano i ritmi biologici del microbiota.
Anche un abuso di lassativi, di diuretici, di sulfamidici, di ormoni sintetici, di antinfiammatori, medicinali che comunque interferiscono sulla funzionalità dei batteri eubiotici, possono provocare carenze vitaminiche.
Tali situazioni insorgono inoltre in presenza di un inadeguato assorbimento intestinale, per scarsa produzione di bile e di enzimi pancreatici e nelle patologie intestinali croniche .
Il primo e più evidente sintomo della carenza di vitamina K è collegato alla comparsa di alterazioni della coagulazione, con una maggiore propensione alle emorragie (epistassi, mestruazioni eccessivamente abbondanti, abbondante sanguinamento di ferite).
L’ematuria (presenza visibile di sangue nelle urine) e il sangue nelle feci sono altrettanti indici di scarsa disponibilità di questa vitamina circolante.
L’assunzione di medicinali anti-coagulanti e anti-aggreganti piastrinici peggiora notevolmente la situazione, fino a provocare vere e proprie emorragie difficilmente arrestabili.
La sindrome emorragica, derivante da un’insufficiente sintesi dei fattori della coagulazione, può venire diagnosticata con un semplice esame del sangue, in cui si nota un aumento del tempo di protrombina.
Altri segnali causati dalla carenza di vitamina K sono:
Bassi livelli di questa vitamina sono considerati un fattore predisponente per la malattia coronarica, on relazione a processi di calcificazione delle pareti arteriose.
Potassio e vitamina K sono la stessa cosa? No, potassio e vitamina K non sono la stessa cosa poiché il primo è un metallo alcalino (inorganico) e la seconda è un composto organico.
La confusione potrebbe derivare dal fatto che il simbolo del potassio è “K”, l’iniziale del suo nome scientifico “kalium”, un vocabolo latino che significa “alcale”.
Si tratta di un elemento chimico con numero atomico 19, di colore bianco argenteo, estremamente leggero, meno denso dell’acqua, molto tenero.
Come quasi tutti i metalli alcalini, anche il potassio reagisce violentemente in soluzione acquosa, producendo idrogeno e idrossido di potassio.
La sua presenza è significativa in alcuni alimenti, tra cui:
Nell’organismo vivente, il potassio è presente in forma organica come catione (ione positivo che ha perso un elettrone) soprattutto nel succo gastrico.
Le sue funzioni biologiche sono molteplici, in quanto regola l’eccitabilità di membrana, controlla la frequenza cardiaca, equilibra la pressione osmotica, l’equilibrio acido-base e il ricambio idrico.
Pertanto non ha nulla in comune con la vitamina K, il cui ruolo è collegato alla coagulazione del sangue e al trofismo del tessuto osseo.
Sebbene la vitamina K sia un elemento naturale dotato di un’ottima compatibilità biologica, è possibile che provochi alcune reazioni avverse su soggetti allergici oppure in caso di sovradosaggio.
Somministrata per via endovenosa, questa molecola è associata a gravi effetti collaterali, tra cui arresto cardiaco e broncospasmo, oltre ad anemia emolitica, citotossicità epatica, ittero e iper-bilirubinemia.
Le principali controindicazioni di questa vitamina sono quindi collegate a fenomeni di intolleranza soggettiva, di iperdosaggio e di assunzione di alcuni farmaci, come anticoagulanti.
Per evitare il rischio di simili inconvenienti è necessario impostare uno schema posologico personalizzato e indicato alle singole esigenze, incominciando sempre con dosaggi minimi che consentono di testare la reattività individuale.
Inoltre bisogna evitare interazioni farmacologiche pericolose, come quelle con anticoagulanti e antiaggreganti, medicinali che interferiscono con i normali processi di coagulazione del sangue.
Chi soffre di emofilia deve monitorare con estrema attenzione qualsiasi terapia con vitamina K in quanto la sua reattività è senza dubbio alterata e potenzialmente pericolosa.
Pazienti affetti da patologie croniche dell’apparato cardio-vascolare ed epatico devono essere costantemente monitorati poiché potrebbero insorgere reazioni avverse.
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