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I trigliceridi sono esteri del glicerolo dove al posto degli atomi di idrogeno si trovano tre acidi grassi, a catena di lunghezza variabile (corta, media o lunga).
Il glicerolo infatti è un alcol formato da tre atomi di carbonio a cui è attaccato il gruppo ossidrilico OH.
Sostituendo l’idrogeno del gruppo ossidrilico con un acido grasso, mediante specifici legami semplici o doppi, si ottengono appunto i trigliceridi, che fanno parte dell’assetto lipidico dell’organismo.
La loro concentrazione ematica può avere un’origine esogena (tramite la dieta) o endogena (attraverso la sintesi biochimica che avviene a livello delle cellule epatiche).
La quantità di questi composti nel sangue non deve superare i 180 milligrammi per decilitro, poiché valori superiori aumentano notevolmente l’indice di rischio cardiovascolare.
Di norma, la trigliceridemia viene valutata in associazione con la percentuale di colesterolo totale, dato che complessivamente questi composti svolgono azioni sostanzialmente simili.
La differenza principale tra loro è che i trigliceridi vengono catabolizzati per produrre energia e proprio per questo si accumulano nei pannicoli adiposi come fonte energetica di riserva.
Il colesterolo invece non è collegato al metabolismo energetico ma partecipa alla struttura delle membrane cellulari esterne (che circondano il citoplasma) e interne (che circondano nucleo e organelli citoplasmatici).
Questa sostanza inoltre è un precursore della vitamina D, degli acidi biliari e degli ormoni steroidei, l’organismo quindi quando ha bisogno di energia catabolizza i trigliceridi, quando invece ha bisogno di funzioni metaboliche, si serve del colesterolo.
Quando si introducono i cibi, l’organismo converte in grassi tutte le calorie in eccesso, per poi immagazzinarli nelle cellule adipose (adipociti); da essi i lipidi vengono poi rilasciati nel momento della necessità, sotto il controllo di enzimi e di ormoni.
I trigliceridi rappresentano quindi un’efficace riserva energetica di pronto intervento, con disponibilità immediata.
In condizioni fisiologiche il loro consumo è pari all’introduzione, mentre quando vengono introdotte più calorie del necessario, si verifica un incremento progressivo di questi composti, che determina l’insorgenza di ipertrigliceridemia, una condizione particolarmente pericolosa in ambito cardiovascolare.
I valori normali dei trigliceridi sono compresi tra 120 e 150 milligrammi per millilitro di sangue, i valori compresi tra 150 e 200 milligrammi per millilitro sono considerati borderline, e sopra i 200 milligrammi per millilitro sono indicativi di dislipidemia.
Una delle principali cause di questo disturbo è collegabile al regime dietetico, che prevede l’introduzione di un eccesso calorico derivante soprattutto da zuccheri semplici e alcol, nutrienti che vengono trasformati in trigliceridi nelle cellule epatiche.
Anche i grassi saturi di origine animale contribuiscono ad aumentare la concentrazione lipidica, mentre i grassi monoinsaturi e polinsaturi svolgono un effetto opposto.
La sedentarietà è un fattore aggravante sulle dislipidemie, poiché provoca un accumulo di grasso nei pannicoli adiposi.
Alcuni farmaci come gli estrogeni, i beta bloccanti e i glucocorticoidi partecipano all’aumento di lipidi ematici; il metabolismo dei trigliceridi insieme a quello del colesterolo deve essere monitorato costantemente mediante dosaggi ematici per non elevare l’indice di rischio cardiovascolare.
I trigliceridi, come tutti i lipidi, sono sostanze idrofobe che non riescono a sciogliersi in acqua e proprio per questo motivo non riescono a circolare liberamente nel sangue, ma richiedono la presenza di trasportatori specifici (lipoproteine carrier).
A livello intestinale questi composti vengono assorbiti dagli enterociti sotto forma di chilomicroni, molecole che permettono trasferire i grassi dall’intestino alla linfa contenuta nel dotto toracico e successivamente nel sangue, dentro cui si muovono veicolati da carrier HDL (High Density Lipoprotein) e LDL (Low Density Lipoprotein).
Una volta arrivati nei tessuti, i chilomicroni si scindono cedendo i trigliceridi che, mediante l’azione delle lipasi, si trasformano in glicerolo e acidi grassi.
A seconda delle necessità dell’organismo, tali elementi vengono metabolizzati subito oppure depositati nei pannicoli adiposi.
Per quanto riguarda il processo di sintesi endogena, i trigliceridi vengono prodotti a partire dal glucosio e dagli amminoacidi, in presenza di insulina e di colesterolo.
Il loro ruolo principale è quello di produrre energia, basti pensare che gli acidi grassi forniscono 9 chilocalorie per grammo.
Il glicerolo invece partecipa alla neoglucogenesi, che nelle cellule epatiche consente la produzione di glucosio.
Queste reazioni biochimiche, che richiedono un notevole apporto di ossigeno, si svolgono nei mitocondri mediante i processi di beta ossidazione e del ciclo di Krebs.
Nell’organismo umano i trigliceridi accumulati negli adipociti rappresentano circa l’87% del contenuto lipidico totale, tenendo conto che il tessuto adiposo può essere di due tipi: bianco, che funziona come riserva e bruno, con attività termoregolatrice.
Un chilo di tessuto adiposo è in grado di produrre fino a 7000 calorie, un valore estremamente elevato che giustifica il ruolo di riserva dei composti lipidici.
La trigliceridemia viene misurata nel sangue per valutare il rischio cardiovascolare del soggetto, dato che alti quantitativi di questi composti favoriscono la crescita degli ateromi.
Inoltre alti livelli di trigliceridi ostacolano la dissoluzione dei trombi, aumentando in maniera esponenziale il rischio di insorgenza di gravi patologie cardiovascolari come ictus e infarto.
Quando la loro concentrazione supera il valore di soglia fisiologica, possono insorgere anche problemi funzionali al pancreas, che subisce una sofferenza metabolica.
I pazienti diabetici e affetti da ipercolesterolemia sono più vulnerabili per un elevato contenuto ematico di trigliceridi: proprio per questo motivo si parla di assetto lipidico che prevede un monitoraggio complessivo di tutte le componenti grasse dell’organismo.
Le principali cause dell’innalzamento di concentrazione dei trigliceridi sono:
L’ipetrigliceridemia è una condizione predisponente alla maggior parte di coronaropatie, poiché le arterie coronarie, che portano il sangue al cuore, se contengono ateromi possono provocare una mancanza di ossigenazione al tessuto cardiaco.
Quando una simile condizione clinica è associata all’aumento del colesterolo LDL, alla riduzione del colesterolo HDL e a picchi iperglicemici, l’indice di rischio cardiovascolare aumenta in maniera significativa.
La pericolosità dell’innalzamento dei trigliceridi ematici dipende anche dal tipo di carrier al quale si associano, infatti secondo la maggior parte delle ricerche scientifiche, l’accoppiamento tra trigliceridi e chilomicroni sembra non causare l’insorgenza di ateromi, mentre i carrier LDL e VLDL (Very Low Density Lipoprotein) hanno sicuramente potere aterogenico.
I trigliceridi alti rappresentano il principale indicatore diagnostico della sindrome metabolica, una condizione clinica che si caratterizza per la presenza dei seguenti fattori di rischio:
Il meccanismo biologico che provoca l’innalzamento dei trigliceridi dipende sostanzialmente dai processi digestivi, infatti durante la digestione degli alimenti, gli enterociti captano i lipidi introdotti con i cibi trasformandoli in trigliceridi, che legandosi ai chilomicroni vengono poi trasportati in tutto il corpo.
Contemporaneamente anche le cellule epatiche producono trigliceridi, ma a differenza di quelle intestinali che sfruttano il materiale alimentare, svolgono questa attività partendo da glucosio e amminoacidi.
I chilomicroni (di natura esogena) e i trigliceridi neoformati dal fegato (di natura endogena) riforniscono le cellule di energia che può essere utilizzata nell’immediato oppure immagazzinata negli adipociti.
Una dieta equilibrata non provoca nessuno sbilanciamento tra produzione e consumo dei trigliceridi, mentre quando prevale la produzione/introduzione di questi composti, il surplus viene inevitabilmente immagazzinato nei depositi adiposi, innescando appunto il fenomeno dell’ipertrigliceridemia.
La presenza di elevate concentrazioni di trigliceridi inizialmente non provoca nessun sintomo, soltanto quando il loro valore supera i 1000 milligrammi per millilitro i sintomi diventano evidenti.
I caratteristi segnali di questo stato morboso sono:
Oltre a questi segnali specifici e riconducibili alla dislipidemia, sono frequenti anche complicanze cardiovascolari come la formazione di ateromi.
Una volta diagnosticata la presenza di ipertrigliceridemia e a seconda della sua gravità, è indispensabile impostare un’adeguata terapia che può prevedere l’impiego di farmaci oppure di integratori ma comunque deve presupporre l’adozione di uno stile di vita e di un’alimentazione corretta.
Tra i farmaci che trovano maggiore impiego contro questa patologia, ci sono:
Chi invece è intenzionato a correggere la dislipedimia con metodi naturali, deve attuare un insieme di precauzioni riguardanti innanzitutto la scelta dei nutrienti.
Qualsiasi sia la causa del disturbo, bisogna sempre seguire un regime dietetico ipocalorico per mantenere sotto controllo il peso corporeo, evitando accumulo di grasso nei pannicoli adiposi.
Dal punto di vista alimentare, è necessario eliminare completamente tutti i cibi grassi di origine animale, come i condimenti (burro, strutto e lardo), carni e pesci non sgrassati, insaccati e salumi, latte e latticini interi e fritti.
È opportuno limitare il consumo di zuccheri semplici poiché questi substrati vengono utilizzati per produrre trigliceridi, pertanto è utile assumere carboidrati complessi, preferibilmente non raffinati.
Il contenuto proteico deve essere bilanciato tra proteine animali e vegetali (contenute nei legumi e nel germe di grano) per offrire all’organismo una varietà metabolica altamente funzionale.
Bisogna poi consumare abbondantemente frutta e verdura fresca, che grazie all’elevato contenuto di vitamine, minerali, oligoelementi, acqua e fibre, contribuiscono a stimolare la lipolisi senza aumentare la produzione di calorie.
Un corretto schema dietetico presuppone sempre l’assunzione di almeno due litri di liquido al giorno, il cui ruolo disintossicante è fondamentale per eliminare scorie e tossine.
Ridurre i trigliceridi in maniera naturale prevede una quotidiana attività fisica di almeno trenta minuti, che oltre a velocizzare il metabolismo, stimola i processi di catabolismo lipidico, con riduzione dei cuscinetti di grasso.
Gli integratori per abbassare i trigliceridi sono preparati naturali a base di sostanze vegetali oppure estratti da pesci e crostacei.
L’acido eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA) sono integratori essenziali in caso di dislipidemia: è possibile inoltre supplementare l’alimentazione con cibi ricchi di omega-3, contenuti in numerosi prodotti ittici e in molte alghe.
L’acido alfa-linolenico (ALA), che è un precursore dell’EPA, svolge un efficace ruolo ipolipemizzante soprattutto se associato agli omega-3.
Tutti i composti antiossidanti, soprattutto derivanti dall’acido ascorbico, sono consigliati per regolarizzare l’assetto lipidico dell’organismo.
La vitamina A e i carotenoidi si comportano da preziosi supporti per abbassare il livello di trigliceridi ematici, anche in presenza di ipercolesterolemia.
La vitamina E, estratta dal germe di grano, è un prodotto efficacissimo per regolarizzare squilibri metabolici legati ai trigliceridi.
Gli integratori di fibre, che ottimizzano l’assorbimento intestinale dei nutrienti, controllando anche il transito e l’alvo intestinale, vengono largamente utilizzati per abbassare il livello dei trigliceridi.
Il glucomannano, un polisaccaride contenente glucosio e mannosio, agisce come blando lassativo migliorando l’eliminazione dei grassi metabolici; il chitosano, un composto che deriva dalla chitina presente sul guscio dei crostacei, e che contiene un’elevata concentrazione di glucosamina, abbassa sia i trigliceridi che il colesterolo.
I semi di psillium, che costituiscono una mucillagine di tipo polisaccaridico, oltre a svolgere efficaci funzioni prebiotiche, aumentano il catabolismo dei trigliceridi; l’olio di krill è un integratore largamente utilizzato in caso di dislipidemia poiché risulta efficace sia nei confronti dei trigliceridi che del colesterolo.
I polifenoli, grazie alla loro elevata attività antiossidante, stimolano il catabolismo dei grassi attraverso processi di lipolisi; i beta-glucani sono polisaccaridi estratti dalla crusca di avena e dal lievito di birra, le cui frazioni solubili vengono utilizzate come integratori di fibra per ridurre trigliceridi e colesterolo.
Le proteine della soia e in particolare la lecitina svolgono un notevole potere assorbente sulla componente grassa del sangue; il beta sitosterolo è un prodotto vegetale appartenente alla famiglia dei fitosteroli, che assunto prima dei pasti riduce del 50% l’assorbimento dei trigliceridi.
L’allicina, il principio attivo contenuto nell’aglio, è una sostanza ipotrigliceridemizzante, che grazie al suo meccanismo d’azione particolarmente rapido, è efficace subito dopo la sua assunzione.
La monacolina K, presente nel riso rosso fermentato, agisce come potente rimedio contro l’accumulo di grassi nel sangue, poiché blocca l’attività dell’enzima reduttasi direttamente coinvolto nella sintesi di tali composti.
Il resveratrolo, un elemento contenuto nella buccia degli acini d’uva, stimola il catabolismo lipidico, non solo per quanto riguarda i trigliceridi ma anche il colesterolo.
I policosanoli, polisaccaridi che si estraggono dalla canna da zucchero, si rivelano un rimedio d’elezione in caso di ipertrigliceridemia, poiché stimolano la scissione di questi composti in glicerolo e acidi grassi, che vengono separatamente metabolizzati.
Il coenzima Q10, assunto in associazione a complessi multivitaminici, stimola la beta ossidazione degli acidi grassi regolarizzando l’assetto lipidico del sangue.
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