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L’artiglio del diavolo è il termine con cui viene comunemente indicato un vegetale appartenente alla specie Harpagophytum procumbens: si tratta di una pianta perenne rampicante della stessa famiglia del sesamo.
Questo vegetale viene chiamato “artiglio del diavolo” in relazione all’aspetto dei suoi frutti, che presentano quattro appendici nastriformi dure e ricurve somiglianti appunto ad artigli.
In realtà, tali escrescenze sono uncini che possono provocare ferite agli animali che calpestano la pianta e che per il dolore incominciano a muoversi in maniera scoordinata come se fossero indiavolati (da cui il nome “artiglio del diavolo”).
La parte utilizzata per scopi fitoterapici è costituita da alcune porzioni delle radici tuberose, che contengono elevate percentuali di principi attivi antinfiammatori.
Nell’antichità, le bacche ovoidali munite di uncini venivano denominate “ragni di legno” e possedevano poteri magici e pertanto venivano ampiamente impiegate nella medicina popolare.
Da queste leggende più o meno diffuse presso le popolazioni anglosassoni e nordiche, è nato l’interesse scientifico per le proprietà erboristiche del vegetale.
La fama dell’artiglio del diavolo è nata probabilmente in Africa meridionale, soprattutto nel Botswana, dove esso è uno dei simboli geografici del paese.
È proprio nella medicina tradizionale sudafricana che gli estratti del vegetale trovano largo utilizzo per curare malattie reumatiche, dolori articolari accompagnati da febbre e infiammazioni muscolo-scheletriche.
Dal punto di vista botanico, la pianta si sviluppa orizzontalmente sul terreno e presenta foglie di piccole dimensioni e fiori di colore rosso violetto; la parte impiegata per scopi fitoterapici sono le radici, che contengono numerose sostanze attive sia per curare che per prevenire le malattie.
Particolarmente adattato agli ambienti secchi, questo esemplare è in grado di resistere alla mancanza di acqua grazie a un enorme sviluppo sotterraneo di radici tuberizzate, che servono a estrarre sostanze nutritive anche da terreni molto poveri.
Durante la stagione delle piogge, l’artiglio del diavolo sviluppa l’apparato radicale a partire da una porzione centrale, e contemporaneamente consente al fusto di produrre rami, foglie e fiori.
Sfruttando gli uncini presenti sulle sue bacche, la pianta può diffondere facilmente i semi e quindi colonizzare sempre nuovi terreni.
Una caratteristica peculiare del vegetale è la sua capacità di germogliare anche se apparentemente sembra morto, poiché la radice sotterranea si mantiene sempre attiva, anche in assenza di qualsiasi manifestazione.
È sufficiente una semplice pioggia per consentire lo sviluppo di foglie e rami, che sembrano nascere dal nulla; fino ad ora non è stato ancora possibile coltivare la pianta su larga scala, per cui il suo approvvigionamento proviene soltanto da colture selvatiche.
Tenendo conto che la parte utile per scopi terapeutici è il rizoma tuberoso sotterraneo, ma che esso è anche la porzione germinativa indispensabile per la vita della pianta, è assolutamente vietato sradicarla.
La raccolta in realtà deve essere eseguita a mano durante il periodo delle piogge, quando cioè il terreno è più morbido, scavando intorno al rizoma principale senza strapparlo ma tagliandone soltanto alcune piccole parti.
In questo modo la pianta non viene dissotterrata e, una volta che i tubercoli secondari sono stati raccolti, devono essere lavati, tagliati ed essiccati.
Pur avendo un andamento prostrato, la pianta produce fiori molto appariscenti che attirano l’attenzione degli animali necessari per l’impollinazione.
La fioritura è di breve durata poiché i petali tendono a seccarsi dopo pochissimo tempo per lasciare il posto alle bacche; il suo sviluppo può arrivare fino a due metri a partire dal fusto principale, che nasce da un grosso tubero sotterraneo e da piccoli tubercoli secondari.
Le foglie sono profondamente lobate e i fiori, tubulari e allungati, sono tricolori, con l’interno della corolla giallo, la porzione intermedia bianca e la parte esterna dei petali di colore violetto.
Le bacche, di forma ovoidale, contengono semi scuri che vengono distribuiti dagli animali.
Le funzioni svolte dall’artiglio del diavolo, che sono principalmente antinfiammatorie, analgesiche e antipiretiche, dipendono da tre glicosidi contenuti nelle sue radici, che sono:
I glicosidi sono un gruppo naturale di sostanze eterogenee caratterizzate da una componente glucidica, chiamata “glicone“, e da una parte non glucidica, chiamata “genina”.
La loro principale attività è collegata a una notevole polivalenza farmacologica derivante dalle funzioni di profarmaci, dato che una volta introdotti nell’organismo, subiscono processi di idrolisi enzimatica che li rendono del tutto simili a veri e propri medicinali.
Infatti, grazie all’attività degli enzimi, il glicone viene separato dalla genina, consentendo lo svolgimento di effetti metabolici ad ampio raggio.
A causa della presenza di questi tre glicosidi, l’artiglio del diavolo si è dimostrato particolarmente efficace soprattutto come analgesico nei casi in cui il dolore derivi da processi infiammatori di natura osteo-articolare, come:
Secondo numerose ricerche scientifiche, l’efficacia dell’arpagofito è sovrapponibile a quella dei tradizionali FANS, senza tuttavia mostrare gli stessi effetti collaterali; per questo motivo il rimedio viene assunto soprattutto da pazienti intolleranti agli antinfiammatori di sintesi, che sfruttano la sua elevata biocompatibilità.
L’artiglio del diavolo serve anche per migliorare i processi digestivi quando viene utilizzato sotto forma di infuso o decotto; esso si è dimostrato inoltre un vantaggioso supporto per abbassare la colesterolemia e la calcemia, per cui viene utilizzato anche in caso di gotta.
Alla base di simili funzioni c’è probabilmente l’attività degli elementi ammaricanti contenuti nella pianta e capaci di potenziare la sintesi della bile e dei succhi gastrici.
Anche in caso di contusioni, traumi, storte e distorsioni articolari, i preparati per uso topico contenenti artiglio del diavolo sono in grado di risolvere rapidamente le problematiche dolorose.
In alcuni casi di emicrania, soprattutto di cefalea tensiva, l’impiego di integratori a base di questa pianta si è rivelato un supporto particolarmente valido per l’effetto analgesico.
Nella maggior parte dei casi il prodotto viene assunto in soluzione acquosa, contenente da 600 a 1200 milligrammi di estratto secco: una simile posologia contiene da 50 a 100 milligrammi di arpagoside, un dosaggio che viene considerato ideale per qualsiasi uso.
In presenza di dolore estremamente intenso, è possibile aumentare il dosaggio fino a 250 milligrammi di estratto secco, con un contenuto di arpagoside corrispondente al 2%.
Quando viene assunto in quantitativi corrispondenti a 40-50 milligrammi di arpagoside al giorno, l’artiglio del diavolo si rivela efficace per piccoli disturbi osteoarticolari, poiché per ottenere un reale effetto analgesico e antinfiammatorio, la concentrazione di arpagoside deve essere molto più elevata.
In caso di problematiche dolorose di varia natura, è indispensabile modulare adeguatamente la posologia del prodotto, che in alcuni casi può sostituire parzialmente o completamente i farmaci antinfiammatori di sintesi.
Aggiungendo due cucchiaini di radice macinata in 500 millilitri di acqua bollente, si ottiene un infuso raccomandato per migliorare la digestione e stimolare la produzione di bile da parte del fegato.
Gli impieghi dell’artiglio del diavolo possono essere quindi di due tipi: da un lato si ha l’applicazione topica di pomate e creme da utilizzare nella zona anatomica dolente, che dopo l’assorbimento possono diminuire la produzione locale di citochine (agenti proinfiammatori).
L’altra applicazione dell’arpagofito è per uso sistemico, mediante l’utilizzo di compresse, pillole o capsule contenenti estratto secco standardizzato e titolato.
I principali costituenti chimici dell’artiglio del diavolo sono i seguenti:
La pianta è conosciuta prevalentemente per le sue proprietà antinfiammatorie derivanti dal blocco sintetico delle prostaglandine e analgesiche, dovute alla sospensione dell’attività del sistema nervoso periferico.
Grazie all’ottimizzazione del metabolismo del calcio a livello della muscolatura liscia, il vegetale svolge anche efficaci attività miorilassanti, antispastiche e antidolorifiche.
Esso si è rivelato anche un ottimo cardioprotettore e antiaritmico, probabilmente in seguito all’azione ipocolesterolemizzante.
In presenza di epatopatie, malattie delle vie biliari e disturbi delle basse vie urinarie, l’arpagofito svolge un’attività antiflogistica e antipiretica: le pomate ottenute dalle sue radici fresche possono essere applicate nei punti in cui il dolore è particolarmente intenso, soprattutto se collegato alla muscolatura liscia.
L’arnica è una pianta erbacea perenne di tipo rizomatoso, che cresce preferibilmente in montagna e di cui vengono utilizzati radici, rizoma e fiori.
I suoi componenti principali sono polifenoli, tannini, terpeni e flavonoidi, e i principi attivi più abbondanti sono i sesquiterpeni.
Se usata in associazione con l’artiglio del diavolo, l’arnica agisce sinergicamente per quanto riguarda le sue funzioni antinevralgiche e miorilassanti.
Questa pianta è conosciuta anche con il nome di “erba delle cadute” poiché il suo impiego si rivela particolarmente utile in caso di traumi, contusioni e distorsioni.
Il rizoma, che si sviluppa sottoterra in direzione orizzontale, è particolarmente ricco di sostanze nutritive di riserva che vengono utilizzate quando la pianta si trova in condizioni di deficit metabolici.
Dal punto di vista fitoterapico, i suoi principi attivi vengono estratti dal rizoma e dai fiori, che contengono elementi antinfiammatori, antifatica muscolare e miorilassanti.
Grazie al suo elevato potenziale analgesico, l’arnica è indicata soprattutto in presenza di dolori cronici oppure derivanti da lesioni e traumi.
Le sue modalità di impiego sono due: da un lato viene applicata per uso topico sotto forma di pomata, crema o unguento, e d’altro lato viene assunta sotto forma di integratore per uso sistemico.
Esistono anche numerosi rimedi omeopatici utilizzati in caso di lesioni muscolari oppure ossee conseguenti a traumi e incidenti.
Secondo le più recenti linee guida, è stata evidenziata una potente attività sinergica tra l’arnica e l’artiglio del diavolo, una combinazione di principi attivi estremamente efficace per contrastare dolori muscolari e ossei.
L’azione analgesica di questi due vegetali interviene in maniera naturale sui dolori osteoarticolari di qualsiasi natura, anche su quelli provocati da una postura scorretta, dall’invecchiamento e da contusioni e traumi.
Combinato all’attività antiflogistica dell’arnica, l’artiglio del diavolo risulta molto più efficace rispetto a quando viene utilizzato da solo; la spiegazione di questa sinergia terapeutica è collegata alla presenza di principi attivi complementari che agiscono contemporaneamente sia sulla componente dolorosa che su quella infiammatoria.
L’attività terapeutica di arnica e artiglio del diavolo è strettamente collegata alla loro posologia e al tipo di formulazione che, nella maggior parte dei casi, è sotto forma di creme o pomate.
Bisogna fare in modo che, in seguito a un leggero massaggio cutaneo, il prodotto venga assorbito completamente senza lasciare traccia.
Di solito all’interno di questi rimedi sono contenuti anche oli essenziali vegetali che facilitano l’assorbimento, rendendoli adatti per qualsiasi tipo di pelle e garantendo nello stesso tempo un’azione emolliente, nutriente e idratante.
L’arpagofito e l’arnica sono due specie vegetali tradizionalmente utilizzate per le loro proprietà curative dei dolori muscolari e osteoarticolari: si tratta di rimedi fitoterapici che si caratterizzano per la risoluzione dei disturbi non soltanto a livello sintomatologico ma anche eziologico.
Mentre l’arnica trova impiego principalmente nella formulazione di tinture su base alcolica che possono essere applicate direttamente su contusioni e in presenza di dolori articolari e muscolari, l’arpagofito viene invece utilizzato sotto forma di pomata o integratore per uso sistemico, contenente estratti essiccati delle radici.
L’associazione tra questi due principi attivi consente la produzione di compresse fitoterapiche che si associano alle pomate erboristiche per ottenere risultati efficaci e garantiti.
L’artiglio del diavolo è un rimedio naturale dotato di una buona compatibilità biologica e privo di significativi effetti collaterali.
Analogamente ai FANS e ai farmaci cortisonici, anche i preparati contenenti questo principio attivo possono far aumentare la gastrolesività, e quindi non possono essere assunti da pazienti affetti da ulcera gastrica o duodenale.
Le interazioni farmacologiche con medicine ipotensive e ipoglicemizzanti devono essere monitorate con attenzione per evitare la sovrapposizione di molecole con effetti analoghi, che potrebbero condizionarsi vicendevolmente diminuendo la loro efficacia oppure aumentandola eccessivamente con rischio di tossicità.
In gravidanza e allattamento è sempre consigliabile non fare impiego di prodotti soprattutto per uso sistemico a base di arpagofito; l’ulcera peptica e il reflusso gastroesofageo sono altre due condizioni che sconsigliano un utilizzo continuativo di questa pianta.
In seguito a sovradosaggio è possibile che subentrino nausea, spasmi addominali, iperacidità gastrica accompagnata da epigastralgia, oltre a diarrea intermittente.
Gli estratti di arpagofito sono sconsigliati in presenza di:
Tenendo conto che tra i suoi effetti principali c’è anche l’iperstimolazione della secrezione gastrica e biliare, il suo impiego è controindicato in presenza di ulcera gastrica, ulcera duodenale, gastrite e calcoli alla colecisti.
La diarrea rimane comunque la reazione avversa più comune che si risolve spontaneamente in seguito alla sospensione del prodotto.
La tossicità dell’artiglio del diavolo è considerata tra le più basse in natura e pertanto la sua assunzione è consigliata anche per persone particolarmente sensibili ai medicinali tradizionali.
Tuttavia è sempre opportuno affrontare un qualsiasi schema posologico iniziando dai dosaggi minimi, che possono essere aumentati gradatamente a seconda della ricettività del soggetto.
Bisogna comunque valutare caso per caso il rapporto rischio/beneficio, poiché ogni singola situazione prevede uno specifico approccio terapeutico.
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